Artista e cantautore dal profondo spirito introspettivo, Filippo Zucchetti esplora attraverso la sua musica temi filosofici e riflessioni sull’essere umano. Per lui, comporre è un atto di autoanalisi, un modo per scavare nella complessità dell’esistenza e trovare un senso personale. Nella sua carriera, Zucchetti ha sempre visto l’arte come una necessità dell’anima, una forma di espressione autentica libera da convenzioni, che invita ciascuno a guardare dentro di sé, a prendersi responsabilità e a lasciare emergere la propria essenza più pura. Di recente, è uscito il suo nuovo singolo, Anita non deve piangere, in cui l’artista riflette sulla difesa della nostra parte più autentica
La tua musica riflette spesso una forte componente introspettiva e filosofica. Da dove nasce questa tua esigenza di esplorare la natura umana e il nostro “essere”?
La mia esigenza di scrivere nasce, prima di tutto, dal desiderio di conoscermi meglio. Comporre una canzone diventa un modo per analizzarmi, provare a comprendermi e cercare di dare senso all’esistenza. Credo fermamente che il miglioramento generale parta da un percorso individuale: ognuno di noi deve iniziare da se stesso. Al contrario, noto spesso una tendenza a guardare fuori, a giudicare gli “altri”. È come se ci fosse un atteggiamento di deresponsabilizzazione, una convinzione che le cose dipendano sempre da qualcun altro. Ma la libertà non si riduce al diritto di criticare senza agire; essa comporta un grande senso di responsabilità verso le nostre azioni. Pretendere di essere liberi senza assumerci il giusto carico di responsabilità è un approccio destinato a fallire.
Hai parlato dell’importanza del silenzio, sia esterno che interiore. Come riesci a ritagliarti questi momenti di silenzio nella tua vita quotidiana, soprattutto in un ambiente frenetico come quello musicale?
Mi impongo di ritagliarmi momenti di quiete durante la giornata, perché anche solo pochi minuti possono fare la differenza. È relativamente semplice trovare luoghi fisici privi di rumori esterni; molto più difficile, invece, è raggiungere il silenzio interiore. La nostra mente è infatti in uno stato di chiacchiericcio continuo: giudica, fa paragoni, elabora teorie assurde e genera pensieri concatenati, spesso negativi, che danno vita a scenari mai esistiti. Quando parlo di silenzio, intendo anche la necessità di prendersi lunghe pause dal sovraccarico di informazioni, perlopiù inutili – sia per il loro valore intrinseco, sia perché eccessive e impossibili da assimilare appieno. L’informazione va assimilata e rielaborata per acquisire un senso, altrimenti resta un accumulo passivo che non fa altro che stordirci.
In “Anita non deve piangere” parli di difendere la parte migliore di noi stessi, quella più autentica. Credi che l’arte possa avere un ruolo attivo nel preservare questa parte?
Ritengo che l’arte abbia un ruolo fondamentale. Una delle definizioni che preferisco è: ‘L’arte è un’urgenza espressiva dell’anima.’ Un bisogno impellente di esprimere noi stessi, di ‘essere’ attraverso un mezzo espressivo. Ognuno dovrebbe dare libero sfogo alla propria essenza più pura, liberarsi dagli schemi mentali collettivi ereditati e creare in totale libertà. Sono molto critico nei confronti di chi cerca di ‘insegnare’ l’arte come se fosse una tecnica. L’arte non è una tecnica, non si insegna e non si impara. Nel video di Anita non deve piangere ho voluto mettere in luce le due identità dei personaggi. Nella prima parte, ciascuno recita il proprio ruolo sociale, vivendo su un palcoscenico di convenzioni e omologazione. Nelle scene successive, immerse nel bosco, vediamo la loro essenza autentica: liberi da ruoli, liberi dalle convenzioni, finalmente liberi di essere ciò che sono.
C’è una reazione o un riscontro che ti ha colpito particolarmente da parte degli ascoltatori?
Mi ha colpito il fatto che molti ascoltatori abbiano provato una sensazione di armonia e benessere ascoltando questo brano. Una bella cosa! Ho dichiarato più volte che quando scrivo una canzone non lo faccio con l’intento di compiacere l’ascoltatore o di cercare di suscitare un qualche tipo di emozione. Per me il solo fine della canzone è la canzone stessa. Tutto quello che succede al momento dell’ascolto è una conseguenza e se questa genera benessere o altre emozioni positive non può che farmi piacere.
L’idea di “Anita” come simbolo della nostra anima e della natura è molto potente. C’è un evento specifico nella tua vita che ha ispirato questa canzone o è stata una riflessione più ampia?
Non c’è un evento specifico ma una riflessione durata anni in cui è maturata sempre più per poi sbocciare quasi all’improvviso durante un viaggio in treno da Perugia a Milano in cui scrissi, in poco più di tre ore, pressoché tutto il testo.
C’è un progetto o una collaborazione futura che sogni di realizzare? Cosa immagini per il tuo percorso artistico nei prossimi anni?
Amo scrivere canzoni, lo sto facendo e quindi sono felice così. Vista la mia grande passione per il cinema non posso certo negare che collaborare alla parte musicale di un film con una mia canzone mi farebbe molto piacere.
Vi ringrazio e vi saluto